Questa è la storia del mio viaggio fotografico nell’arcipelago dove ho visto cascate precipitare direttamente nell’oceano, dove i laghi sembrano sospesi nel vuoto e dove l’uomo ha ancora un profondo legame con la Natura. Sì, le Fær Øer, le 18 isole al largo delle coste settentrionali d’Europa, a metà tra Islanda e Inghilterra – sono davvero le gemme nascoste dell’Atlantico.

La luna di Nolsoy

Giorno 1

Partiamo da Roma a metà luglio e qui, alle 9 di mattina, fa già talmente caldo che non vediamo l’ora di arrivare a destinazione, dove per i prossimi 7 giorni ci aspettano dei molto più sopportabili 15 gradi. Sono le 19:45 quando arriviamo all’aeroporto di Vágar. Già dall’oblò dell’aereo le forme e i colori delle Isole Faroe iniziano a farci sognare, ma il bello deve ancora arrivare.

Scendiamo dall’aereo e c’è il sole, raro da queste parti. Buon segno, siamo fortunati. 

Prendiamo l’auto e ci dirigiamo verso Torshavn, la “capitale” che conta 20.000 abitanti. Attraversiamo fiordi e tunnel sottomarini, gli occhi non riescono a staccarsi da quei paesaggi e subito la notte ci regala il primo spettacolo: vediamo la Luna sorgere dietro l’isola di Nolsoy. Strabiliati, ci fermiamo a scattare e a godere di questo momento magico prima di raggiungere il nostro alloggio.

Luna sopra Nolsoy

La solitudine di Koltur e la compagnia dell’Heimablidni

Giorno 2

Ci svegliamo di buon’ora e subito ci muoviamo verso l’isola di Koltur su di un gommone che coi suoi due motori da 250 cavalli, ha tutta l’aria di poter anche volare. Ad attenderci sul posto c’è la guida locale, un ragazzo di 19 anni, il più giovane dei 2 abitanti che popolano quest’isola.

Facciamo con lui il giro dell’isola passando per le antiche case degli abitanti del posto, costruite con il legno proveniente dal mare. La nostra giovane guida ci parla del Grindadrap, mostrandoci gli arpioni usati per la caccia alle balene, e ci spiega com’è vivere in solitudine.

Un po’ più consapevoli di quanto possa essere differente il mondo a due passi da casa, nel pomeriggio lasciamo Koltur. Da oggi, possiamo anche dire di conoscere la metà degli abitanti di un isola.

Inizia a far sera e il mio amico Sigmund ci aspetta a casa sua per l’Heimablidni, una particolare tradizione delle Isole Faroe per cui amici e viaggiatori vengono ospitati nelle case dei residenti del posto. Durante una cena a base di fulmaro, uno degli uccelli locali più comuni, Sigmund ci racconta vecchie storie del suo villaggio e dei suoi abitanti.

È ora di andare via, salutiamo i padroni di casa e ci congediamo, consapevoli che non è affatto vero che i faroesi sono un popolo chiuso e riservato.

Il gigante, la strega e la cascata

Giorno 3

Oggi il meteo non ci aiuta, piove e il cielo è di un grigio slavato senza colore.

Grazie alla bassa marea, percorriamo il fiordo di Saksun e visitiamo la spiaggia di Tjornuvik con i faraglioni Risin e Kellingin, localmente conosciuti come il gigante e la strega, protagonisti di una famosa leggenda locale.

Di ritorno, ci fermiamo a Fossá, la cascata più alta di tutto l’arcipelago che  ci offre ricchi spunti fotografici.

Mykines, i puffin e il faro sull’oceano

Giorno 4

Anche oggi il tempo è pessimo e subito dopo colazione ci incamminiamo verso il battello che ci porterà all’isola più ad Ovest dell’arcipelago, siamo diretti a Mykines.

Partiamo. Il mare è così mosso che sul battello abbiamo la sensazione di stare in una centrifuga. Alla fine arriviamo a terra, ci incamminiamo verso il faro dell’isola lungo il sentiero che dal piccolo villaggio sale su fino alla cima delle scogliere. Lungo tutto il tragitto siamo circondati dai Puffin, ce ne sono a migliaia e sono talmente vicini da poterli quasi toccare.

Arriviamo al faro che è quasi ora di pranzo. Mi siedo per terra e sono pronto ad addentare il mio panino, davanti a me l’Oceano e il vento che tira forte ai piedi del faro. Altro che stelle Michelin…questo è in assoluto il posto più bello dove mangiare un panino.

La cascata di Mulafossur e il campo da calcio

Giorno 5

La nostra destinazione di oggi è la caratteristica cascata di Mulafossur, nei pressi del villaggio di Gasadalur. Con la sua popolazione di 20 persone circa, collegate all’isola principale da un tunnel aperto nel 2012, questo è uno dei villaggi più iconici delle Isole Faroe. Fuori dal tempo e dal mondo, sembra far parte del regno delle fiabe.

Gásadalur, Mulafossur

Nel pomeriggio proseguiamo verso Eidi, un piccolo villaggio sull’isola di Eysturoy. Lungo la strada incontriamo un piccolo campo da calcetto: non servono parole, ci basta uno sguardo d’intesa. Fermiamo la macchina, scavalchiamo e iniziamo una partita in pieno stile “Mediterraneo”. Ci divertiamo da matti.

La forza del viaggio sta in ciò che ci porta fuori rotta,

Peter Manoukian ha proprio ragione.

Il lago sospeso di Sørvagsvatn

Giorno 6

È il nostro ultimo giorno alle Isole Faroe, domani dobbiamo partire. Oggi la nostra prima tappa è il “lago sospeso” di Sørvagsvatn, forse uno dei posti più incredibili e famosi di tutte le Fær Øer.

Lo chiamano il lago sospeso perché lungo il sentiero c’è un punto preciso dove, a causa di un effetto ottico, si ha l’illusione che il lago sia molto più in alto rispetto all’oceano. Mozzafiato.

Ci dirigiamo verso Trælanípan, conosciuta come la scogliera degli schiavi perché da qui i Vichinghi della zona  erano soliti gettare i propri nemici e gli  schiavi dei quali volevano sbarazzarsi. La storia è forse un po’ cupa, ma il panorama è senza paragoni.

A causa di un forte temporale in arrivo da lì ad un ora, siamo costretti a cambiare itinerario e finiamo la nostra ultima giornata scendendo verso Bosdalafossur, la cascata che dal lago Sørvagsvatn che finisce direttamente nell’oceano Atlantico.

La fine di un viaggio è solo l’inizio di un altro viaggio

Giorno 7

È il giorno della partenza. Purtroppo.

Non senza difficoltà, ci lasciamo le Isole Faroe alle spalle. Andiamo via, ma so già che tornerò. Arrivederci Isole Fær Øer.

Ogni viaggio ci arricchisce e queste piccole isole ci hanno regalato tanto, inclusa la convinzione che qualsiasi viaggio possa e debba svilupparsi “da solo”, senza troppi programmi prestabiliti. Perché le mappe, dicono i nomadi, servono solo a sognare il viaggio nei mesi che lo precedono.

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