Il 2021 è appena passato e mentre cerchiamo di capire come uscire vivi o se non altro senza troppi lividi da questo 2022 vi vorrei raccontare della cosa più importante che ho capito in quest’ultimo anno: sono un fotografo strano, molto strano.

Un esempio?

In meno di un mese ho avuto una foto pubblicata sulla rivista cartacea National Geographic Italia e sono tra i finalisti del concorso fotografico internazionale Travel Photographer of the Year nella sezione “People and their Stories” ed entrambe queste notizie hanno smosso il mio umore quanto la “forza della mente” di Giucas Casella smuoverebbe il K2.

Intendiamoci non mi hanno lasciato indifferente, sono pur sempre soddisfazioni guadagnate sul campo che fanno piacere, ma mentre sono convinto che tantissimi fotografi e fotografe vedrebbero eventi del genere come qualcosa per cui vale la pena stappare il Don Pèrignon del ‘52 per me non è così: non è in questo modo che misuro la qualità del mio lavoro e del mio essere fotografo (ho detto essere fotografo, non fare il fotografo, che è diverso).

La soddisfazione più grande di tutto quest’anno appena passato è stata un’altra, più piccola, più “tascabile”, più umana ed è racchiusa in 102 pagine scritte da Carla Campanella

Io e lei ci conosciamo, virtualmente, già da un paio d’anni, da quando mi ha contattato per realizzare un suo vecchio sogno nel cassetto: visitare le isole Faroe

Sogno che è stato per ben due volte rimandato a causa del Covid, ma noi confidiamo nella terza!

In questi due anni Carla è passata dall’essere una semplice “follower” all’essere una delle mie supporter più affezionate. Il nostro stile di viaggio e il modo in cui lo viviamo sono molto simili.

E a Maggio dello scorso anno ha deciso di condividere con me una parte importante del suo percorso di viaggiatrice: il suo libro scritto, vissuto e dedicato ai bambini Tokai del Bangladesh

Non è un romanzo, ma un resoconto di un’esperienza vissuta sulla propria pelle e i “personaggi” sono persone in carne ed ossa. Padre Riccardo, missionario, dona ai bambini che sopravvivono accanto ai binari della ferrovia un’opportunità, Ibrah, Sujana e Yeana nonostante abbiano poco o nulla non hanno paura a condividere la loro casa e la loro cena, Juli in sedia a rotelle non si ferma davanti a nulla, Imram a cui Carla allaccia le piccole scarpe e tanti tanti altri sono i protagonisti di questo autentico e genuino frammento di Vita vissuto lì sul campo.

Sicuramente non vincerà il premio Strega o il Pulitzer, ma per me è stata la più grande soddisfazione di questo intero anno perché mi ha dimostrato, ancora una volta, che la Fotografia è un fatto di relazioni, di rapporti.

Ricordiamoci sempre che se le nostre foto non generano relazioni vere e “spirituali” con il mondo e con le persone allora sono solo e soltanto gesti sterili e meccanici

La Fotografia, per me, è un modo di percepire il mondo e di relazionarmi con esso attraverso le persone. È un rapporto unico e speciale con la realtà, una sorta di filosofia che ti accompagna per tutta la vita e che ti fa “guardare in profondità dove altri tirano dritto”