Svalbard – Viaggio alle porte del Polo Nord

“Tu sei scemo!”

Per circa un anno, questa è stata la risposta che ricevevo quando dicevo che mi stavo organizzando per partecipare ad un viaggio alle Isole Svalbard, in inverno. Un’avventura verso l’ultima porzione di terra abitata più a Nord del pianeta.

È il 14 marzo, siamo a 4.052 km da Roma. Dopo 3 voli aerei arriviamo a Longyearbyen, la capitale delle isole, posizionata tra i 78° nord e i 15° est, appena sotto il Polo Nord. Un posto magico, e incomprensibile, finché non ci metti piede.

Svalbard: alla ricerca di…

Appena uscito dall’aeroporto e assaggiato per la prima volta il freddo polare che sembra tagliarti il viso, non puoi fare a meno di notare i cartelli che indicano il “pericolo orsi polari”, quasi a volerti ricordare che alle Svalbard è più facile incontrare loro che le persone.

Altri cartelli colpiscono la mia attenzione, indicano le distanze:

  • Mosca 2.611 km
  • Londra 3.043 km
  • Sydney 18.692 km

Le Svalbard sono sopratutto questo, un luogo di ricerca e, in passato, una porta per l’esplorazione dell’Artico. Da qui partì Umberto Nobile con il suo dirigibile alla conquista del Polo Nord. Da qui partiremo noi, ognuno alla ricerca di qualcosa, tutti speranzosi di poter incontrare il Re dell’Artico, l’orso polare.

Ci muoviamo in motoslitta, per me è la prima volta e l’impatto non è dei migliori. Ho sempre l’impressione che ci sia un sorta di combattimento in corso tra me e lei, ma finito il giro di test stringiamo un patto di non belligeranza. Uno a uno, palla al centro.

Il bianco della neve, il nero della notte

Lasciamo Longyearbyen per dirigerci verso il rifugio che ci ospiterà per i prossimi giorni. Mentre ci allontaniamo dalla città, tutto inizia a farsi monocromatico e le poche zone di terra ancora visibili sembrano fluttuare sospese nel bianco.

Non ci vuole molto per arrivare al primo incontro con la fauna artica. Incontriamo un piccolo gruppo di renne che brucano lì in mezzo alla neve; non so bene cosa stiano mangiando, non so come ci riescano. Ci osservano senza troppo preoccuparsi di noi e della nostra curiosità.

Inizia a calare la notte e le temperature si abbassano, come se ce ne fosse bisogno. Dopo 45 minuti di motoslitta, arriviamo al rifugio. Fuori non c’è nient’altro che buio, silenzioso e gelido. Il termometro esterno del rifugio segna -20 gradi. Inizia la nostra prima notte al polo.

L’alba e il ghiaccio

Torna il giorno, ci alziamo presto e le guide ci dicono che le zone dove andremo oggi saranno molto più fredde di quelle dove ci troviamo ora. Quindi indossiamo tutto quello che abbiamo in valigia e sopra infiliamo la nostra bella tuta artica, in lana di pecora.

Un rapido controllo incrociato tra di noi per evitare di lasciare punti scoperti e via, in sella alla motoslitta; si parte!

Il tempo non è dei migliori, ma ci lascia ammirare quella che è per me l’alba più bella di tutta la mia vita. Un raggio di sole, di un color oro intenso, si intrufola tra due montagne; tutto intorno a noi sembra diverso, più grande.

Proseguiamo e ci dirigiamo verso un fiume completamente gelato, così com’è ghiacciata la cascata che lo alimenta. È una sensazione strana, tutto quello che sei abituato a considerare in perenne movimento qui risulta immobile, fermo, come in una fotografia, un istante bloccato per sempre.

L’incontro dopo la tormenta

Il tempo peggiora, si alza il vento e la temperatura si abbassa, scende fino a -30 gradi, le cose non promettono bene.

Le guide decidono di continuare lo stesso così ci buttiamo a capofitto in quello cha ha tutta l’aria di essere qualcosa di brutto, qualcosa in grado di rovinarti la giornata. Una tormenta di neve, a due passi dal Polo Nord, è qualcosa a cui noi non possiamo essere abituati.

Penso: non qui, non ora. Mi ripeto che durerà poco, ma sono il primo a non crederci. Per un tempo indefinito perdo l’orizzonte, non vedo i miei compagni; niente cielo, niente terra, tutto è bianco, solo bianco, nient’altro che…bianco.

In mezzo alla tempesta

In quel momento, una parte di me non vorrebbe essere da nessun’altra parte al mondo; una parte di me preferirebbe essere altrove, magari al caldo. Alla fine ne usciamo. Arriviamo in una grande pianura, le guide ci fermano, ci dicono di spegnere i motori delle motoslitte e di guardare dritto davanti a noi. Eccolo, finalmente, il Signore dell’Artico.

Per essere precisi è una Signora, è appena uscita dal letargo, se ne sta sdraiata a terra, mentre inizia a recuperare le forze; rimane così per tutto il tempo accennando di tanto in tanto qualche piccolo movimento. Noi rimaniamo incantati a guardarla.

È davvero troppo lontana per essere fotografata e le guide non ci consentono di avvicinarci oltre. Non importa, l’importante è essere arrivati fin qui. L’importante è esserci.

Pranzo, sul mare

Riprendiamo il cammino e ci fermiamo in un’altra valle, dove ci viene servito il pranzo. Non ho idea di cosa stia mangiando, ma qui impari presto che caldo è buono e nessuno si lamenta.

Anche perché ci spiegano che il punto in cui stiamo mangiando, è una valle che d’estate non esiste; siamo infatti esattamente sopra il Mar Glaciale Artico. Al di là del ghiaccio, 5 metri sotto ai nostri piedi, scorrono le sue acque gelide. Basta questo a trasformare quel pranzo disgustoso in uno dei  migliori di sempre.

Inizia a far sera e decidiamo di rientrare, ma ancora non sapevo che stavo per vivere uno dei momenti più emozionanti della mia vita.

Corriamo con le nostre motoslitte tra i ghiacciai e iniziamo a salire, sempre più su, finché non arriviamo in cima ad una collina. Sotto di noi si apre un’immensa valle ghiacciata, la più grande che abbia mai visto, illuminata dalla luce di un tramonto che solo l’artico può regalare. Quel panorama e quella sensazione di vastità ti rimangono dentro.

Iniziamo poi a scendere, a tutta velocità verso quello spazio immenso e sconfinato. Il vento ora è delicato, ci spinge e ci accarezza con i freddi raggi di quel sole che pure sembra tanto vicino.

Mal d’Artico

Si dice che ogni viaggio sia in grado di cambiarti nel profondo, ma l’Artico lo fa in un modo inaspettato. Ti scuote dall’interno, ti prende a schiaffi e ti ributta da dove sei venuto, senza mezze misure.

Se ti lasci sopraffare, allora l’Artico ti sembrerà uno sconfinato nulla di neve e ghiaccio. Ma se lo ami nel profondo, se riesci vedere i colori tra le mille sfumature di bianco, se ne capisci la forza e le fragilità, allora sì, potrai sopravvivere alle sue sfide e ne uscirai come un uomo nuovo.